Antonio Bicchierri

Alla mia terra”

 

Antonio Bicchierri, con la sua silloge “Alla mia terra”, ha stimolato, sia per un apporto conoscitivo ulteriore all’incontro che per tema di ripetizione, di verificare e capire il perché si viene spesso colti dalla nostalgia per la propria terra e del tempo passato. Tutto lascia pensare che il passato sia migliore del presente; per certi aspetti forse sì, per altri decisamente no. Allora che cosa suggerisce alla mente delll’uomo di rifugiarsi nel passato?

Diceva un mio amico scrittore che l’amore per la terra natia ti stringe la gola con un cappio d’amore. Questa affermazione la ritrovi sempre più vera inoltrandosi nella vita, sempre più intensa, più complessa nel suo significato che è andato evolvendo nel tempo. Rimane sempre vivo il desiderio, se sei lontano, di tornare alla propria terra, almeno a quella che ti ha allevato ed aiutato a crescere, soprattutto quella che ti ha visto lottare per la sua difesa e per la ricerca della legalità, o di altro che solitamente inficiano le vocazioni naturali del territorio di tua appartenenza. L’ambiente ci avvolge o ci respinge a seconda del nostro comportamento. Io credo che la propria terra sia come il dovere che abbiamo per attestare che ci siamo con merito!

Si vive sempre il proprio tempo, ma quando ci si accorge che esso ha guadagnato il livello della memoria, allora sembra che sia stato rimosso dal suo ruolo e abbia  iniziato la rievocazione; quando inizia la celebrazione, dunque, bisogna fermarsi e considerare il presente per capirlo meglio e per verificare se ci sono stati degli errori di valutazione o di percorso, oppure se non sia venuto a frapporsi un estraneo disturbo specifico dell’apprendimento.  Occorre farlo anche per giustificare il presente, godere del chiarore nuovo e cercare di dare un senso al domani.

Il passato ci dona molte occasioni di riflessione e di ripensamento sul come eravamo e ci permette di capire, possibilmente, come siamo, alla luce dei cambiamenti, delle innovazioni, dei sistemi nuovi di comunicazione. La comunicazione è sempre più cibo indispensabile e sta diventando come l’aria: non se ne può fare a meno nemmeno per un minuto, tanto, quel minuto, è diventato capiente per qualsiasi tipo di azione.

Quasi sempre il passato foraggia e alimenta il presente, ma a volte è anche necessario sperare nel contrario per non essere travolti dai cambiamenti, dalle innovazioni, dalle cose che non conosciamo, provocando una sorta di morte precoce o di farci vivere una esistenza inutile. Il cambiamento, si spera  ordinato, è l’origine di qualsiasi trasformazione; è l’origine del nuovo pensamento che, come ogni fenomeno della natura e qualsivoglia forma di ricerca, non torna mai indietro, ma ricerca il continuo divenire a cascata, lungo un percorso che non avrà mai termine.

Una considerazione interpretativa in questa direzione viene dal fatto inaspettato che il semplice ricordo di un evento passato può generare in noi.

Avevo un amico che ricordava tutto di me. Quell’amico, che mi è stato vicino fino ai 15/16 anni, l’ho perso per poi ritrovalo verso i  trenta anni, per motivi diversi dall’amicizia di ritorno. In me non era mai subentrato l’oblio, il distacco mi era parso naturale in quanto dovuto ai diversi interessi e proseguimento degli studi e, avendo comunque un buon ricordo passato,  ho ripreso a frequentarlo e ad ascoltarlo come se non ci fosse stata nessuna interruzione di rapporto amicale, pur avvertendo una sorta di disgiunzione: cioè mi sembrava che quando parlava riferendosi a fatti che hanno riguardato il mio agire passato (peraltro vissuto assieme a lui e lui assieme a me), il periodo dell’infanzia e della pre-adolescenza trascorsa, il destinatario fosse una persona altra e non io, tanto era meticoloso e puntiglioso nel ricordare i minimi particolari. Questo fatto mi sorprendeva non poco, ma lo ascoltavo senza alcun timore. Sembrava un mio ritratto parlante. Lui, invece, si sentiva testimone ed esercitava quelle conoscenze in maniera superiore, come se le avesse sentite da altri. L’interesse che io riuscivo a provare era solo per la mia sensazione di scoperta delle mie cose che avevo, queste si, messe a dimora letteralmente nell’oblio, avendo considerato e quindi ritenuto, molto/tutto agire passato come forma di caratterizzazione delle esperienze di vita. Mi sono sempre chiesto come faceva a ricordarsi il colore della mia prima bicicletta, peraltro a ruota fissa, o quella caduta con mia sorella piccola, ecc.. Qualche risposta me la sono data, ma era di forma provvisoria, di casualità che viene chiamata in momenti simili della nostra vita. In seguito ho cercato di immergermi in me e di verificare che cosa questo voleva e poteva significare, ma con il solo fine di verificare il presente. Quando raccontava certe cose, e succedeva molto spesso, naturalmente in compagnia di altri, lui era contento ed esprimeva compiacimento.

In quei casi, ascoltando e riflettendo, si realizzavano tre cose distinte: riportare i fatti particolari del passato di una persona e quindi fare spettacolo e suscitare interesse; risvegliare la curiosità; capire e conoscere me stesso dopo aver cercato di capire gli altri.

1.      Riportare i fatti particolari del passato di una persona alimenta il desiderio di sapere, non tanto per conoscere, quanto per indebolire l’immagine di una persona, magari diversa da noi. Il desiderio di sapere per essere più forti è tipico della società della informazione che alimenta morbosità e voglia di essere uguali a tutti gli altri, specialmente se contano di più, In questi casi emerge un narratore della curiosità, forse per riportare tutto indietro, al passato, dove, molto spesso, si è fermato il tempo. Forse questo può essere un modo per rivivere  il proprio passato attraverso il riporto di sfumature che evidenziano errori del passato, omettendo il fatto che dall’errore può nascere l’esempio, ma sempre sulla via della costruzione della regolarità e della legalità onesta in quanto commessi in percorsi di ricerca. Suscitare la curiosità significa rientrare nel circuito del dialogo e del protagonismo, inconsci che questo modo di fare attesta un declino della legge e della auctoritas: la legge della natura e l’autorità del divenire della persona alla quale competono determinati ruoli sociali.  (Con il termine autorità (dal latino auctoritas, da augeo, accrescere) si intende quell'insieme di qualità proprie di una istituzione o di una singola persona alle quali gli individui si assoggettano in modo volontario per realizzare determinati scopi comuni. Spesso è usato come sinonimo di potere, ma in realtà i due termini afferiscono ad accezioni diverse. Il "potere" si riferisce all'abilità nel raggiungere determinati scopi mentre il concetto di "autorità" comprende la legittimazione, la giustificazione ed il diritto di esercitare quel potere.

2.      Capire e conoscere stessi dopo aver cercato di capire le motivazioni che spingono le persone a ripercorrere il passato in momenti del tutto diversi dal presente, che proprio dall’agire passato derivano. Una sorta di prevenzione costruendo la virtus civile, partendo dalla individualità: credo sia stata sempre questa la forza della generazione del dopo guerra: aver capito che non bastava l’appartenenza o lo sforzo per conseguire un alto titolo di studio, ma una forza altra che potesse mettere al riparo i sacrifici immensi del divenire e dei cambi epocali che la società della rivoluzione tecnologica prima e quella della informazione dopo, avrebbero finito col vanificare. C’è anche il rischio della omologazione alla illegalità!

Una società troppo appiattita e appagata è una società che ha perso il desiderio di lottare e di risolvere la propria esistenza.  L’ultima relazione del Censis è disarmante in questo senso. I fenomeni non sono mai immediati, in questi casi si parla di incidenti, ma sono lenti e inesorabili, come le metastasi: quando ce ne accorgiamo è ormai troppo tardi. "Siamo una società pericolosamente segnata dal vuoto, visto che ad un ciclo storico pieno di interessi e di conflitti sociali, si va sostituendo un ciclo segnato dall'annullamento degli interessi e dei conflitti" dice il Censis.

Credo che in questo ci sia una minima spiegazione del tempo e della evoluzione delle cose, ma credo ci sia anche la condizione in cui si vuole vivere e si ama vivere. è come ritornare a pensare alle cose che danno senso alla vita, alle occasioni, tante, che si succedono per cercare di inanellare un percorso esistenziale possibile per poter dire che "si è vissuto".

Il tempo altro non è che l'immagine speculare della propria esistenza, delle occasioni mancate, di quelle sfruttate e di quelle che ti hanno ingannato e travolto; il tempo può essere il tuo comportamento, le tue azioni, la tua impreparazione, la tua elevazione, la tua distruzione. Il tempo è il grande maestro di vita.

Fa paura il tempo, perché effimero e fugace, ma assume sembianze di serenità se ti è amico, e sembianze di impostore se ti è nemico. Alla fine è lui, soltanto lui, che recupera il senso della legalità, della tranquillità, della soluzione di ogni problema

Ma si sa, l'uomo non arriva mai preparato agli appuntamenti della vita perché quel passato, dal sapore antico,  incrosta la nostra  anima e la nostra  coscienza e ci procura la nostalgia del  tempo ed i ricordi irrompono nel dispiacere" ... a noi la forza e la capacità di interpretare questi momenti come cursori di un domani più luminoso, più sicuro e più forti; quella forza che un tempo era anche energia, oggi deve essere intelligenza… e con questo auspicio ringraziamo Antonio Bicchierri per averci sollecitato, ma soprattutto per averci riportato indietro nel tempo, nel tempo dell’amore per la propria terra da dove possiamo e dovremmo ripartire con maggiore energia e capacità di influenzare il tempo moderno.

 

San Giorgio, 4.12.2010